Critical by Roberta Ridolfi - 2007
Giuliano Tamburini: Un mondo dentro, un mondo fuori… A volte può capitare di sentirsi rapiti da un fatto, un particolare, una frase pronunciata, un’immagine. E’ in questi istanti particolari che il flusso delle nostre personali esistenze subisce una sorta di battuta d’arresto, un fermo–immagine, una sosta emotiva che in qualche modo ci rapisce dal nostro mondo, quello che crediamo essere l’unico possibile, quello reale. E’ durante questi particolari frangenti che sentiamo la presenza di un altro mondo, ben diverso da quello fuori, un mondo che abbiamo chiuso dentro. Lo stesso accade di fronte ad un’opera d’arte, quando cioè davanti ad una pittura, per esempio, tocchiamo con l’anima l’esistenza di un’altra via, quando riusciamo a sentire la labilità della realtà al cospetto dalla forza trasfigurante della creatività e dunque dell’immaginazione. Il mondo fuori è quello che leggiamo sulla carta stampata o che subiamo attraverso i telegiornali, il mondo fuori è quello che fa capolino dalla storia di cronaca nera che narra di un’umanità degenerata che anela all’immortalità. Ma sarà proprio così? Crediamo davvero di poter isolare fuori di noi quel mondo? Eppure qualche ragionevole dubbio ci deve venire…Ci verrà quando capiremo che il dramma sfiora i nostri vicini di casa, che minaccia i nostri giardini curati, ci verrà quando penseremo che i nostri figli stanno là fuori, esposti al vento inquieto di questi tempi. I segnali di tutto ciò sono presenti ovunque, tanto che questo malessere si legge persino nell’arte di questi tempi. Gli artisti sempre più spesso usano i loro linguaggi per comunicare un disagio, per accendere una luce sul mondo che fluido scorre sul tempo. Giuliano Tamburini è uno di questi artisti. Le sue pitture affrontano attraverso un’eccellente padronanza tecnica, tematiche scomode, narrano storie che la nostra memoria non vorrebbe registrare, indagano vite al margine che conoscono solo la discesa verso l’abisso senza fondo. Le figure che abitano le opere di Tamburini indossano le vesti di giovani creature sfortunate, private del loro naturale diritto alla serenità per via d’essere nate in ambienti familiari di paesi senza altra prospettiva che la miseria. Nelle tele di questo artista non si leggono gesti eclatanti, non si vede il colore del sangue o la trasparenza delle lacrime, non succede nulla che faccia pensare alla soppressione fisica dei soggetti….accade altro! Sono, infatti, i particolari a nutrire e svelare lo squallore delle vicende, storie che narrano di bimbi ingannati, d’adolescenti cresciuti nella violenza, di adulti dannati chiusi nel loro piccolo mondo interiore, senza luce, senza aria, senza vita. Passando per questi punti fermi si comprendono molte cose: i bei volti esotici accennano sorrisi spenti, rendendo i ritratti paesaggi umani, le ombre di alcuni piccoli protagonisti divengono sagome sinistre da cui difendersi, e le scarpe…quelle scarpe da adulti, sproporzionate nel contenere piedi ancora bambini. E’ così che gira il mondo, osserverà qualcuno, ma altri si fermeranno davanti a questi lavori, guarderanno quelle figure come fossero davanti ad uno specchio, oppure rifletteranno banalmente sulle ragioni per le quali l’arte possa toccare simili brutture…Qualunque cosa accada, la poetica di Tamburini si sarà data una misura, uno scopo, una prospettiva perché è nella comunicazione che l’arte ritrova la propria essenza. Non si tratta di giudicare se il segno sia perfetto o meno, se il ritratto sia ben eseguito, si tratta piuttosto di comprendere che certi ritratti psicologici ed emotivi hanno il potere di disintegrare tutto il nulla rappresentato in molta arte contemporanea. Per intenderci: nulla a che vedere con quel mondo fatto di moda banale, di programmi televisivi annulla- cervello, di divi di vetro, di omologazione all’apparenza, insomma di tutto ciò che compone oggi molto del nostro esistere. Attraverso il lavoro di Tamburini si approda al mondo fuori, senza chiudersi nel proprio. Non è certo il primo ad avere cercato risposte in campo sociale ed umano per mezzo dell’arte, lo hanno fatto prima di lui e contemporaneamente a lui, tutti quegli artisti che forse non si sono semplicemente accontentati di piacere, e aggiungerei di piacersi, lo hanno fatto coloro che sono stati capaci di usare la propria anima, la propria mente e la propria coscienza come supporto alla loro creatività. Tutte queste considerazioni possono solo nascere dall’osservazione di queste opere ma ci si può anche accontentare di guardare e allora ci si perderà nei deliziosi particolari: ritocchi argento, figure appena percepibili bianco su bianco, simboli disseminati discretamente tra le pennellate. Ho sempre pensato che un’opera d’arte fosse simile ad un libro: occorre scorrerla, soffermarsi sullo scorrere della narrazione, catturare le emozioni decodificando certi codici…Ma certo, per poter condividere le gioie o i dolori di un libro occorre saper leggere!
Roberta Ridolfi
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